26.01.2025
Luigi Delvai - Carano (TN) 25.12.1943
Non ci credi.
Guardi incredulo il dottore che ti guarda di rimando tentando di farti capire con gli occhi che lo sa, che ti comprende, che se potesse... Ma lui invece non lo sa. Non può, è una cosa che viene da lontano. È come se ti stessero togliendo una delle cose preziose che avevi. Una cosa che ormai davi per scontato avere.
Tu eri li alla partenza della prima Marcialonga, e poi alla seconda, alla terza e così via per tanto tempo. Sempre. Non le avresti mancate per nulla al mondo. E dalla decima in poi, da quando ti hanno dato il titolo di Senatore, tu con pochi altri, tu che hai portato questo titolo come fosse un vestito fatto su misura. Ma mi state prendendo in giro? Io, non ci sto. L’ha capito dottore? Io non mi fermo davanti a questo problema fisico. Le gambe vanno, le braccia vanno. La schiena si aggiusta, in qualche modo. Una soluzione la si trova sempre, no? Ci penseremo dopo all’operazione, tutto andrà come deve andare.
…
E sono qui. Contro ogni assennato parere medico. Sono al via. Sento più freddo degli altri anni. Ho più paura di cadere. Nelle discese, nelle salite, in partenza dove tutto è caos, dove tutti sgomitano appena sentono lo sparo. Come se 50 metri su settanta chilometri facessero davvero differenza. Dovrò stare più attento, la mia condizione non mi permette di fare il minimo errore. Una fitta alla schiena me lo ricorda ad ogni singola spinta: sarà una gara totalmente diversa. Controllata al centimetro, le forze vanno calibrate. Non è la classifica, è arrivare fino in fondo. Tanto ho fatto per essere qui che non mi permetterò di mancare il traguardo, dovessi prenderla io la corona dell’ultimo.
…
Il movimento è pesante, ancora quindici chilometri, ancora la lunghissima salita di Predaia, “le piane di Castello”, la salita che porta all’ospedale, l’arrivo. Sono stanco, stanco, stanco. Il dolore è lanciante e pervade ogni singola fibra del mio corpo, come se non fosse più solo la schiena ma fossi tutto io. Solo dolore che prevarica il resto. Devo fermarmi. Non voglio ma devo fermarmi. Una panca di legno mi accoglie a lato della pista, il mondo sta lentamente diventando nero. Mi vedono in difficolta, un medico mi soccorre, inutile del tutto inutile. Non arriverò. Mi abbandono a questa consapevolezza e poi lo vedo passare. Il mio avversario di sempre. In un attimo torna la lucidità. Un’ondata di adrenalina mi investe. NON PUO’ARRIVARE LUI SE NON ARRIVO IO.
Mi rimetto in pista. Non è più forza di braccia, non è più forza di gambe, non è più movimento elegante e regolare. È solo ed esclusivamente forza di volontà. Io DEVO arrivare a quel fottuto traguardo. Io arriverò, perché non puoi averla vinta tu.
E domani ci rivediamo in ospedale, dottore.
Concept, intervista e testo: Susanna Sieff
Foto: Alice Russolo
Riprese: Graziano Bosin - Dolomiti TV
L'INTERVISTA
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