26.01.2025
Costantino Costantin - Forno di Zoldo (BL) 23.12.1948
E la neve continua a cadere.
Non ci dà tregua. Scende regolare come se non potesse fare altro, come se fosse l'unica condizione possibile. Ha l’aria beffarda da: "Sapete che c'è di nuovo? Non lo rivedrete più, il sole..."
Guardo fuori dalla finestra con la speranza che la sola forza del mio pensiero la possa istantaneamente far smettere. Come se io potessi batterla. Mancano due giorni e così non va. Così non riusciremo mai ad arrivare in Val di Fiemme. Così perderemo la Marcialonga quest'anno... Ragazzi urge trovare una soluzione! Armarsi di santa pazienza, coraggio e andare. Andare comunque. Il nostro "viaggio" non può finire qui. Insieme ce la faremo.
Insieme. Sì perché Marcialonga è sempre stato un progetto collettivo per noi. Fin dall’inizio.
Siamo partiti in 60 dal mio paese, nel 1971. Una gara sulla lunga distanza in Italia. Una gara che tutti aspettavamo. Come quelle sempre sognate del grande Nord, come la Vasaloppet o la Birkebeiner che ci sembravano irraggiungibili. E adesso c’era Marcialonga, a due ore da casa. È stato facile. Eravamo tanti e l’euforia è stata contagiosa. Esponenziale. La sommatoria di tante piccole aspettative, sogni, speranze amplificata dall’amicizia che ci legava e che ci lega ancora. Non è mai stata la competizione a spingermi ma l’occasione di condividere parte di questa straordinaria avventura. Da solo non sarebbe mai stata la stessa. Da solo mi sarei fermato molto prima.
Va bene, partiamo. Al diavolo tutta questa neve che sembra non finire mai. Arriveremo anche quest’anno!
Detto, fatto. E stiamo già preparando l’attrezzatura, la macchina, il cibo. Ci armiamo di tutto quello che ci può servire per vincere la battaglia contro questo elemento naturale così infinitamente leggero ma che ostinatamente, un fiocco dopo l’altro, si sta frapponendo tra noi e la nostra meta. Pale, catene, coperte. Abbiamo tutto? Andiamo? …ANDIAMO?
Andiamo.
La strada è irriconoscibile. Nessun punto di riferimento. La memoria come unico navigatore. Ci diamo il turno per guidare, l’attenzione che ci devi mettere ti consuma. Nessun passo dolomitico, tutti impraticabili. Bisogna trovare una via alternativa, più lunga, meno in quota. Bisogna andare verso la città. La macchina a tratti slitta, in alcuni punti sprofonda, due volte si pianta e a nulla valgono i tentativi di scastrarla stando al caldo. Prima, retro, prima, retro. Bisogna scendere, armarsi di pala, scavare per liberare le ruote. Una gara nella gara. Ne usciamo esausti. 10 ore di viaggio e non siamo neppure a metà strada. Aleggia nell’abitacolo la consapevolezza che non arriveremo mai in tempo per prendere i pettorali. Ci faranno partire comunque? …Incrocia le dita. E il viaggio continua.
Tanto facciamo che arriviamo in partenza. Sono le 4 del mattino. Intorno è tutto buio e freddo. Sì, siamo qui. Respiro a pieni polmoni l’aria della notte e mi preparo. Ci sarò anch’io, anche quest’anno. Arrivano infine i pettorali, ultimo tassello del mosaico.
Siete pronti?
Sono immensamente stanco, ma appena danno il via e parto mi sento invadere dalla felicità. Sono esattamente dove devo essere. Si comincia a sciare. E arriverò in fondo, ancora una volta.
Concept, intervista e testo: Susanna Sieff
Foto: Alice Russolo
Riprese: Graziano Bosin - Dolomiti TV
L'INTERVISTA
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