26.01.2025
Armando Zambaldo - Illasi (VR) 23.10.1943
Caldo. Fa troppo caldo.
Intorno a me il verde intenso e vivace dell’estate di montagna. Sotto di me asfalto che accresce la sensazione di scioglimento imminente.
Le mie gambe si muovono, le mie anche si muovono, le mie braccia si muovono. Appoggio. Spingo. Attacco. Proietto la gamba destra in avanti, con il piede che sfiora il terreno riarso. Il busto leggermente avanzato a compensare il movimento. Estendo più che posso perdendo il contatto con il terreno e “rullo”.
Il mio fisico risponde ancora bene ma il sudore che filtra dalla mia pelle sta grondando fin nelle scarpe. Sta bruciando ogni fibra del mio essere. È fatica che si mescola alla volontà di finire la sessione. Mi alleno da più di tre ore ormai, sulle strade della Val di Fiemme. Sto marciando. Sono un marciatore. Ho scelto di fare questo nella vita. Una passione diventata lavoro. Una passione che mi ha portato al culmine. Olimpiadi di Montreal 1976, la 20 km di marcia. Ho gareggiato con i migliori al Mondo portandomi dietro i frutti di un allenamento costruito in alta quota. Aria rarefatta, essenza granitica. In estate. In inverno.
Freddo. Fa troppo freddo.
Intorno a me il bianco luminoso e totale dell’inverno di montagna. Sotto di me la neve, che accresce la sensazione di congelamento imminente.
Le mie gambe si muovono, le mie braccia si muovono.
Appoggio. Spingo. Attacco. Proietto la gamba destra in avanti, quella sinistra rimane ferma, aggrappata al terreno ghiacciato. Le braccia si alternano. Danno al corpo la stabilità necessaria e amplificano la potenza del gesto.
Devo tentare di accelerare. Sento le dita delle mani rigide e formicolanti. Sento le dita dei piedi rattrappirsi nelle scarpette. Cercano calore su se stesse. Il vapore che fuoriesce dalla mia bocca, ad ogni singolo respiro, fa da termometro. Freddo. Fa troppo freddo oggi per andare ancora. Mi alleno da più di tre ore ormai, sulle piste della Val di Fassa. Davanti a me, in fila indiana, i miei compagni sciano all’interno di binari tracciati. Io dietro, a scorrere guardando i loro movimenti lenti e precisi. Ad assorbire l’essenza del rumore che producono sci e neve insieme. Sssssscccccc. È quasi terapeutico, ti riconnette con qualcosa di antico. Ed estremamente rassicurante.
Disincantati. Devi finire la sessione. Pensa a dove ti porterà tutto questo. Pensa ai tuoi due obiettivi. Allenarti per la marcia, traghettare il fisico verso l’estate. Allenarti per la Marcialonga. Fare anche quest’anno classifica, l’ultima domenica di gennaio. Un appuntamento cominciato per divertimento. Eri comunque qui per gli allenamenti e quando c’è una gara beh, fa parte del DNA di un atleta. Difficile rinunciare al brivido che ti da essere al via. Sfidare altri atleti. Batterli.
Cominciare e continuare, anno dopo anno, è stato un tutt’uno. E poi è arrivata la decima, quella che ti ha incastrato davvero. Il titolo di Senatore. Quasi un’investitura. Come si fa poi a rinunciare? A tornare indietro? Non si può. Il legame diventa indissolubile. Tu e Lei. E gli anni che passano.
Si marcia in estate, si scia in inverno. E i ruoli si invertono, alla fine. Sciavi per marciare, ma ad un certo punto ti sei ritrovato a marciare per sciare. Per arrivare in fondo, sempre.
I due lati di una stessa medaglia che si sono alternati come si alternano le stagioni che scandiscono il tempo che corre. O che marcia, forse.
Concept, intervista e testo: Susanna Sieff
Foto: Alice Russolo
Riprese: Graziano Bosin - Dolomiti TV
L'INTERVISTA
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